L'intervista a Mario Cucinella / Hon FAIA, Int. Fellow RIBA.  

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A livello globale si fa un gran parlare di Green New Deal puntando in modo particolare sul settore energetico. Come può essere declinato a Suo avviso questo nuovo approccio da un punto di vista architettonico?

 

Se vogliamo davvero raggiungere gli obiettivi del Green New Deal e dato che la metà delle emissioni prodotte dalle abitazioni dipendono dalle costruzioni, gli architetti hanno perciò certamente un ruolo fondamentale nel dibattito energetico. Se consideriamo che quasi la metà di tutte le emissioni di gas serra provengono dall’ambiente costruito, gli architetti dovrebbero certamente sentirsi centrali al dibattito. Mai come ora è necessario stravolgere il paradigma ‘energivoro’ che ha caratterizzato l’architettura dell’era “Post Carbon”, traducendo in termini contemporanei, elementi e tecnologie provenienti dal passato. La sfida imposta dal “Green New Deal” è ardua, e basa tutta la sua riuscita su di un profondo e radicale cambiamento culturale. I dettami che pongono l’uomo al centro di tutto, figli della prima rivoluzione industriale, vanno sovvertiti per permettere all’essere umano di riconciliarsi con la natura e non di sfruttarne irresponsabilmente le risorse. L’uomo ‘con’ e non ‘contro’ la natura, l’uomo come elemento di un sistema più grande, in cui ritrovare l’equilibrio con l’ambiente che lo ospita. Se si costruisce un edificio a energia quasi-zero, si rischia anche in maniera minore che venga considerato superato in un lasso di tempo medio della lunghezza di 10 anni; in pratica ormai qualsiasi edificio non progettato seguendo lo standard del net-zero energy è considerabile già obsoleto. In maniera particolare, dopo la pandemia da Covid19, è importante riconoscere che viviamo in tempi di transizione, dove la trasformazione del patrimonio edilizio in modo che sia il più possibile resiliente è una chiave di lettura importante per la progettazione del futuro. Edifici più efficienti avranno inoltre un impatto positivo sull’economia delle famiglie a basso reddito, che attualmente si trovano ad affrontare spese di gestione notevoli dovute al consumo di energia delle loro unità abitative. Una fonte di ispirazione molto interessante per concepire edifici resilienti, ci viene direttamente dal modo in cui sono strutturate alcune specie appartenenti al mondo vegetale. Infatti, gli uomini, così come gli animali, hanno un sistema di funzionamento molto semplice e centralizzato dove sostanzialmente il cervello governa gli organi esattamente come gli edifici di cui parlavo prima. Ma se il cervello non funziona, l’intero organismo è a rischio. Le piante invece, come insegna il professor Stefano Mancuso, prediligono un sistema funzionale diffuso rispetto a uno centrale, dove, se si blocca una fonte di approvvigionamento, altre parti resilienti della pianta sopperiscono alla mancanza in oggetto. Le loro funzioni sono infatti distribuite in tutto l’organismo invece di essere concentrate in un unico organo-motore. Il parallelismo con gli edifici è molto affascinante e ricco di spunti che possono ispirare indubbiamente un modo nuovo di progettare. Gli edifici hanno sviluppato ormai, grazie alle competenze dei progettisti, capacità di adattamento e sfruttamento di risorse come il vento, il sole, la pioggia, i materiali. Tutti ingredienti che, nonostante lo sviluppo delle tecnologie edilizie, restano tuttora costanti fonti di energia rinnovabile. 

 

 

Ritiene che l’estetica degli edifici nei centri altamente antropizzati o nei borghi delle meravigliose province italiane consenta, oltre ad un indubbio accrescimento di natura economica, anche una valorizzazione sociale per tutta la comunità?

 

Credo che certamente non si possano dissociare i temi del benessere e del buon vivere che un edificio deve avere per una visione solo estetica dell’architettura. L’architettura fino agli anni duemila è stata prevalentemente un fatto estetico generando esiti anche drammatici. Infatti, spesso si tende a leggere la disciplina architettonica come più legata e determinata a una dimensione artistica, in cui la componente comunicativa è molto rilevante, e dove finisce quindi per prevalere l’aspetto estetico. Ma gli edifici devono anche rispondere a questioni molto più importanti dal punto di vista compositivo, strutturale e anche dal punto di vista delle emissioni, del risparmio energetico, che di certo non sono meno dirimenti in fase di progettazione. Lo scopo dell’architettura e degli architetti è quello di costruire degli edifici che facciano e migliorino la qualità di vita delle persone e che inquinino poco. L’impronta ambientale di questi edifici non si calcola basandosi unicamente sulle emissioni di ogni singolo edificio una volta operativo, ma include la valutazione dell’emissione di inquinanti di tutta la filiera edilizia fino ad arrivare in ultimo alle emissioni che producono le persone che ci abitano. Tutti elementi che concorrono a definire i parametri della sostenibilità. Per fare il lavoro dell’architetto non è sufficiente avere una visione estetica del manufatto architettonico; qualunque soluzione formale, anche la più apparentemente stravagante o originale, deve rispondere a un perché, a una domanda specifica, sia essa di ordine tecnico, strutturale, compositivo o concettuale. Le risposte ne determinano l’autenticità e il valore. Gli edifici devono funzionare, questo è l’elemento fondante: devono essere dei luoghi adatti all’abitare e alla vita sociale. Lo stesso tipo di ragionamento può essere applicato al tema del green; molti non hanno capito che non è solo un valore estetico o di moda, ma è un valore fondante. L’estetica diventa quindi una forma di rappresentazione di quell’etica. Oggi l’estetica, la bellezza, è anche quello che non si vede: il codice di lettura di una cosa bella è anche qualcosa di invisibile, come il risparmio di emissioni di CO2. Un edificio ci piace perché ha anche un contenuto etico, a cui possiamo dare un valore, come a un qualsiasi altro prodotto: la nostra scelta cade su un tipo di prodotto anche perché siamo coscienti che dietro c’è una filiera attenta al buono così come al bello e quindi gli attribuiamo un valore anche estetico che deriva necessariamente e in maniera molto forte anche dall’aspetto etico. Quando si costruisce un edificio sostenibile e anche bello, si genera un valore che tocca tutta la comunità e genera una reazione a catena sull’ambiente circostante. Quando abbiamo inaugurato la scuola di Guastalla (RE) abbiamo notato come l’intervento abbia generato sugli abitanti del quartiere una consapevolezza delle potenzialità del proprio spazio. Uno dopo l’altro sono nati spontaneamente altri interventi privati per migliorare gli edifici circostanti. Questo è il circolo virtuoso generato dalla “bellezza”.

 

 

Il territorio trentino, e in particolare quello dell’Alta Valsugana, fa parte a tutti gli effetti di quello che Lei definisce “L’altro spazio”. Vivremo un momento irripetibile in cui, grazie a provvedimenti legislativi, un’enorme quantità di risorse potrà essere messa in circolo al servizio di precise tecniche costruttive. Come potrà la montagna riappropriarsi di concetti quali sostenibilità, bellezza ed equilibrio e fare in modo che siano una componente imprescindibile di questa piccola “ri(e)voluzione”?

 

Il 60% del territorio italiano è composto da centri minori. È certo il luogo dei territori montani e appenninici, dei grandi paesaggi, ma è anche il luogo dove abitano venticinque milioni di persone, quasi un quarto, un quinto della popolazione. Il luogo dove è custodita una gran parte della cultura italiana. Oggi sembra che il nostro Paese abbia poche idee ma confuse, in merito sia alla sua valorizzazione che al trovare creatività e concetti da tradurre in progetti concreti per l’innovazione. Tutto ciò per l’inesistente senso di responsabilità, da parte del potere politico, nel lasciare il segno del proprio tempo e della propria cultura, mentre in Italia coraggio e creatività sono stati da sempre parte della nostra crescita culturale e artistica. L’Italia, e in particolare queste zone, ha bisogno di cura e siamo chiamati a lavorare sul futuro di un modello, nelle sue qualità, unico al mondo. L’Architettura può essere uno strumento decisivo nel rilancio delle aree interne e montane, e deve essere al centro del dibattito pubblico. Le infinite potenzialità che la relazione fra nuove tecnologie, smart working, trasporto e smart mobility può offrirci nel collegare le aree rurali o montane con le città metropolitane avrà un ruolo protagonista nel dibattito sul design post Covid19. Le tecniche costruttive fanno certamente parte di questo dibattito, come il legno per esempio: abbiamo realizzato un asilo a Guastalla (RE), che ha sostituito i due nidi comunali dell’infanzia danneggiati dal terremoto del maggio 2012. L’edificio è stato realizzato utilizzando materiali naturali certificati o provenienti da percorsi di riciclo, privi di tutte quelle sostanze chimiche che possono risultare nocive se respirate per lunghi periodi di tempo. In particolare, a eccezione delle fondazioni di cemento armato, la struttura è costituita da telai di legno: un materiale sicuro e ideale per mantenere l’isolamento termico dell’edificio. L’elevata coibentazione, la distribuzione ottimale di superfici trasparenti – massima trasparenza sul fronte sud, massima opacità sui fronti est, ovest e nord – il ricorso a sistemi all’avanguardia per il recupero dell’acqua piovana e l’inserimento in copertura di un impianto fotovoltaico, consentono di ridurre al minimo il ricorso a impianti meccanici per soddisfare i fabbisogni energetici dell’edificio. Un altro esempio di intervento in un’area marginale italiana è quello della creazione di residenze e nuovi spazi collettivi per il centro storico di Peccioli (PI). Il progetto, attualmente in corso, nasce proprio dall’esigenza di incrementare gli spazi pubblici, recuperare il centro storico e incentivare la nascita e la permanenza di attività commerciali e culturali. La prima finalità dell’intervento è proprio quella di riqualificare un luogo con un portato storico importante e creare un nuovo centro di integrazione sociale per l’intera città. L’architettura è infatti il momento finale di un processo che è l’espressione dei desideri e di progettualità nuove. Da qui la volontà e la necessità di tornare a progettare anche edifici ibridi, luoghi multifunzionali, qualcosa che, alla fine, ritorni a stimolare l’essere e il fare comunità. 

 

 

A cura di Daniele Lazzeri, Ufficio Relazioni Esterne Cassa Rurale Alta Valsugana